Anche il 2025 sarà uno degli anni più caldi di sempre

Fa sempre più caldo e lo testimoniano anche le temperature registrate tra fine aprile e inizio maggio. Nonostante ciò l’attenzione mediatica nei confronti della crisi climatica è in calo, seppur resti la principale emergenza globale. Ne parliamo con Elisa Palazzi, climatologa del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino.
Dopo il 2024, l'anno più caldo di sempre, anche il 2025 sta seguendo questa tendenza. Quali sono i dati disponibili in merito e che estate dobbiamo aspettarci?
Il 2024, oltre a essere stato l’anno più caldo a livello globale ed europeo, è stato anche l’anno in cui – per la prima volta – la temperatura media globale è stata superiore di oltre un grado e mezzo rispetto alle temperature preindustriali. Secondo la scienza del clima questo dato non rappresenta ancora la nuova normalità, ma potrebbe diventarla se il riscaldamento globale superasse la soglia del 1,5°C in modo ricorrente, per molti anni, così da escludere l’effetto di fattori naturali, come El Niño, che si manifestano su tempi più brevi, o semplicemente della meteorologia. I primi mesi del 2025 stanno mostrando un andamento termico che prolunga la sequenza di caldo iniziata a luglio 2023. Gennaio 2025 è stato il gennaio più caldo a livello globale, con una temperatura superiore di 1,75°C rispetto al livello preindustriale; febbraio è stato il terzo febbraio più caldo mai registrato e marzo il secondo più caldo a livello globale. Con i dati disponibili per i primi tre mesi dell’anno, alcuni studi mostrano che il 2025 ha una probabilità molto alta di essere uno dei tre anni più caldi mai registrati. Oltre al caldo quasi da record, l’inizio del 2025 ha visto un’estensione minima del ghiaccio marino artico tra gennaio e marzo, la più bassa mai registrata per questo periodo, e la seconda estensione minima più bassa del ghiaccio marino in Antartide.
Secondo un recente report dell'Osservatorio di Pavia per Greenpeace nel 2024 l'attenzione mediatica verso la crisi climatica è molto diminuita rispetto all'anno precedente. Quale potrebbe essere la spiegazione?
Il cambiamento climatico è una questione complessa, che i media non riescono a trattare in modo continuativo e trasversale, mantenendo alta l’attenzione a meno che non si verifichino eventi estremi o catastrofici. Nel 2024, i principali giornali e i telegiornali italiani hanno parlato meno di crisi climatica rispetto all’anno precedente, nel contempo però sugli stessi mezzi sono aumentati i contenuti e le pubblicità delle aziende maggiormente responsabili del degrado ambientale e climatico, in particolare quelle del petrolio e gas, il settore aereo, l’automotive. Ciò fa pensare che in alcuni casi possa esserci una riduzione strategica della comunicazione climatica per evitare contrasti con settori economici potenti o con una politica meno impegnata sul fronte climatico. Oltre a questo aspetto, c’è anche il rischio che il riscaldamento globale possa ormai essere percepito come “normale” e che ci sia una sorta di assuefazione, a meno che, come già si accennava, non si sia di fronte a eventi estremi di alto impatto sociale, economico e sanitario. Si sente invece la mancanza e il bisogno di un’informazione ampia, trasversale sul cambiamento climatico che racconti non solo la situazione in atto ma anche il processo della conoscenza, le azioni intraprese fino ad ora, i vantaggi della transizione energetica.
Qual è la fake news sulla crisi climatica che la infastidisce di più?
Mi infastidiscono molto le classiche fake news che continuano a essere reiterate di tanto in tanto, e che sono entrate nel circuito creando disinformazione e potenziando il negazionismo climatico. Una delle più famose leggende negazioniste è quella secondo cui 1000 anni fa, ai tempi della colonizzazione Vichinga, la Groenlandia fosse una terra libera da ghiacci, o anche quella che racconta i ghiacciai delle Alpi più ridotti di oggi quando Annibale le attraversò. Ci sono molte fonti diverse (vedere ad esempio il blog climalteranti.it) e dati paleoclimatici che smentiscono entrambe le leggende. Eppure, sono rimaste nella memoria delle persone. Più in generale, mi infastidisce la narrazione che racconta le azioni di contrasto al cambiamento climatico, soprattutto quelle di mitigazione, come un sacrificio, come una rinuncia al benessere, come detrattive. Non possiamo ignorare le brutte notizie, ma non considerare e non raccontare ciò che c’è o potrà esserci di buono può solo generare paura, ansia o indifferenza.
Ci sono dei piccoli gesti a cui prestare attenzione o dei comportamenti che possiamo adottare nel quotidiano per fare la nostra parte?
Il cambiamento climatico è una questione globale che richiede l’intervento dei governi nazionali, delle istituzioni internazionali, delle imprese. Tuttavia, ogni azione o piccolo gesto conta, se è nella direzione giusta. Ci sono molte azioni individuali utili, positive, capaci di innescare un cambiamento negli altri, una piccola rivoluzione. Dalle scelte di mobilità sostenibile, a quelle sulla dieta, al diminuire gli sprechi, anche energetici, scelte di vita quotidiana o a più lungo termine. Ma sono d’accordo su quanto dice Bill McKibben, ambientalista e fondatore di 350.org, e cioè che l’azione individuale più forte, più potente che ognuno può fare, è smettere di considerarsi come singolo individuo. Il contrasto al cambiamento climatico è una azione collettiva, di cooperazione e di fiducia.
Qual è invece il ruolo della comunità scientifica di cui fa parte? Si sente investita di una responsabilità?
La comunità scientifica ha un ruolo centrale nella produzione dei dati e nella loro corretta interpretazione, nell’analizzare l’impatto delle attività umane sul clima, nello sviluppo di scenari futuri, e nella ricerca di soluzioni tecnologiche per mitigare le emissioni e per adattarsi agli impatti climatici già in atto. Oggi chi fa ricerca nel campo del clima è però anche chiamato a tradurre dati complessi in informazioni accessibili per i decisori politici, per le imprese e altri portatori di interesse, per le persone, per studentesse e studenti, promuovendo azioni consapevoli. Raccontare l’esperienza della ricerca, oltre i dati e le proiezioni, raccontare la complessità e il valore positivo dell’incertezza, è importante. Gli esseri umani rifuggono l’incertezza e vogliono risposte certe, anche quando non è possibile. Le attese che circondano la scienza, poi, sono altissime – ma la scienza, e quella del clima non fa eccezione – non è una mappa, ma una bussola che dovrebbe aiutare a orientarsi con consapevolezza, fornendo indicazioni preziose che possano essere una base per le decisioni.