Come il terremoto ha aggravato la già pesante situazione in Myanmar

Il 28 marzo un forte terremoto ha causato migliaia di morti in Myanmar, Paese in cui è in atto una guerra civile dopo il colpo di stato del 2021. Con Giuseppe Gabusi, docente di Economia Politica dell'Asia Orientale al Dipartimento di Culture, Politica e Società e Responsabile dell'Indo-Pacific Program del T.wai (Torino World Affairs Institute) abbiamo ricostruito le vicende che hanno coinvolto l'ex Birmania e analizzato le conseguenze devastanti della guerra civile in corso.
Prof. Gabusi qual è la situazione politica dell'ex colonia britannica?
La situazione politica è tragica e il Paese è ormai teatro di vari conflitti interni. Fin dall’indipendenza nel 1948, la Birmania, successivamente rinominata Myanmar, non ha mai conosciuto una vera pace, a causa di conflitti tra le forze armate (quasi sempre al comando del governo centrale) e le milizie etniche (Ethnic Armed Organizations, EAOs), operative negli altopiani di confine e portatrici di istanze generalmente proto-indipendentiste delle principali minoranze. Dopo la fine dell’esperienza di coabitazione (2011-2021) tra il partito della National League for Democracy (NLD) guidato dall’iconica leader Aung San Suu Kyi, molti giovani hanno contribuito a costituire forze di difesa popolari (People’s Defence Forces, PDFs) per lottare contro la dittatura militare. Queste nuove reclute, spesso addestrate dalle EAOs, hanno portato la resistenza anche nelle aree centrali del Paese, dominate dall’etnia maggioritaria Bamar e tradizionalmente sicure. Il risultato, perciò, è stato l’estensione dei conflitti all’intero territorio, e a macchia di leopardo: di fatto le forze armate al potere (il Tatmadaw) riescono a controllare a malapena la metà del Paese. Hanno promesso nuove elezioni in autunno, ma sono riuscite a portare a termine il censimento elettorale solo in 145 dei 330 distretti complessivi. In più, il governo di unità nazionale (in parte in esilio), che include ex parlamentari, ovviamente giudica il tentativo per quel che è: una farsa del regime per riacquistare legittimità internazionale. La giunta, dal punto di vista delle operazioni militari, è in difficoltà su diverse fronti, e secondo alcune analisi il generale Aung Ming Hlaing starebbe preparando la sua successione.
Il terremoto ha colpito duramente varie parti del Myanmar, anche zone controllate dai gruppi ribelli. Come la giunta militare sta gestendo gli aiuti umanitari e i soccorsi medici?
Dopo il terremoto, i militari al potere hanno chiesto assistenza internazionale soprattutto a Russia e Cina, Paesi amici, e aiuti sono arrivati dai vicini del Sudestasiatico, quali Thailandia, Indonesia, Filippine. Hanno però rifiutato un team di 126 persone specializzato nelle operazioni di ricerca e soccorso dei dispersi offerto da Taiwan, chiaramente per non generare fastidio a Pechino. La distribuzione degli aiuti, controllata dal Tatmadaw anche tramite la Croce Rossa nazionale, è avvenuta soprattutto a Naypyidaw, la capitale costruita dal nulla, e a Mandalay. Ma l’impressione è che gran parte della popolazione sia stata lasciata a sé stessa, e i sopravvissuti, anche con la mobilitazione delle organizzazioni locali, si sono dovuti rimboccare le maniche, in un contesto reso complicato dalle alte temperature pre-monsoniche e dalla limitata disponibilità di adeguati servizi sanitari. Per fortuna esistono Organizzazioni Non Governative, anche italiane, in grado di canalizzare gli aiuti raccolti direttamente a favore della popolazione, grazie alla collaborazione di storici partner locali indipendenti dal governo.
Nonostante gli effetti devastanti del terremoto la guerra civile è ancora in atto?
Assolutamente sì. Qualche ora dopo avere dichiarato un cessate il fuoco temporaneo post-terremoto fino al 22 aprile, la giunta ha bombardato con l’aviazione la regione di Sagaing e lo stato Kachin, mostrandosi indifferente alla tragedia di più di 3.500 morti accertati, 5.000 feriti, 9,1 milioni di persone coinvolte dal terremoto, bisognose di cibo, acqua potabile, cure, riparo, aiuti finanziari (dati dell’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari). Malgrado la Kachin Independence Army (KIA), una delle principali EAOs, avesse dichiarato un cessate in fuoco, gli scontri sono continuati con la solita scorta di bombardamenti indiscriminati dei villaggi. Allo stesso tempo, il general Min Aung Hlaing ha rifiutato un’offerta di cessate il fuoco delle PDFs e di altre EAOs. La situazione sul terreno è così conflittuale che persino la Cina ha protestato per un attacco a un convoglio della Croce Rossa cinese nella parte nord dello stato Shan.
La giunta militare al potere ha reso il Myanmar un Paese molto isolato, quasi impenetrabile per giornalisti e analisti stranieri. È cambiato qualcosa dopo il terremoto?
L’atavica paura della giunta militare dell’influenza economica, politica e ideazionale di potenze straniere nel Paese le impedisce di aprire indiscriminatamente le porte a operatori, osservatori e cooperanti stranieri. Non sembra quindi che il Tatmadaw sia disposto a concedere spazio in tale direzione, anche davanti a una tale tragedia. Però, sono rimasto piacevolmente sorpreso di avere visto, all’interno di un TG in onda su un canale RAI, un paio di reportage addirittura dalla trincea di una delle tante linee del fronte (ovviamente, dalla parte dei ribelli). Temo però che il mondo sia troppo distratto da altre questioni per occuparsi – come seriamente dovrebbe – dell’immane tragedia storica di un processo di unificazione nazionale mai compiuto, intriso di povertà, violenza, sopraffazione e di assenza di visione per un futuro di pace, di cui i giovani che hanno conosciuto dieci anni di “semi-libertà” tra il 2011 e il 2021 si sentono invece giustamente defraudati.