Come parla la Gen Z: un glossario minimo ragionato

La lingua dei giovani sembra oggi attrarre l’attenzione di molti ambienti, dalla sociologia al web, dal giornalismo alla scuola: un interesse che non sempre si traduce in indagini fondate su metodi accurati, e che anzi pone spesso l’accento sull’impressionismo e sulla ricerca di effetti sensazionalistici. Ricordiamo un esercizio di scrittura contenuto in un libro di grammatica italiana per gli istituti superiori che chiedeva a studentesse e studenti di leggere un dialogo tra un ragazzo e una ragazza, Luca e Camilla, e di riscriverlo "eliminando tutti i termini tipici del linguaggio giovanile" in esso contenuti; queste alcune battute dello scambio:
- Luca: «Bella raga, come butta?»
- Camilla: «Qui ci divertiamo una cifra»
- Luca: «Mitico! Qui invece è tutto una para… Tra un po’ sclero. Speravo che con Giulia andasse bene (mi piace un botto!), invece sono stato friendzonato… Questa è la situa. Io non ci sto dentro»
- Camilla: «Scialla! Magari cambierà idea!»
- Luca: «Sì… ciaone!»
- Camilla: «Vai tra! Ci si becca»
- Luca: «Sì… ciaone!»
- Camilla: «Dai tranqui, bro! Camomillati e whatsappami»
Il testo dell’esercizio, divenuto virale nel 2021 grazie a una sua immagine pubblicata in un tweet, generò numerose reazioni, per lo più sarcastiche, tra gli stessi adolescenti: qualcuno definì il suo contenuto una "tipica conversazione tra boomer che per sentirsi giovani inventano parole a caso"; qualcun altro, invece, suggerì una piccola, eppure sostanziale, giunta alla consegna: "Leggi questo dialogo tra ragazzi e riscrivilo, eliminando tutti i termini tipici del linguaggio giovanile secondo i sessantenni".
Chi abbia una minima cognizione delle modalità comunicative di ragazze e ragazzi sa in effetti che forse nessun giovane esordirebbe in una spontanea conversazione tra coetanei con "come butta?", e che voci come ciaone, camomillati, whatsappami e altre contenute nel dialogo sono, per ragioni diverse, estranee (da tempo o da sempre) al loro vocabolario. In altre parole, l’attività proposta nel manuale scolastico ha senza dubbio restituito un’immagine deforme dello slang giovanile attraverso un accumulo farraginoso e banalizzante di stilemi ma può offrire lo spunto per una piccola riflessione sulla varietà linguistica degli ultimi anni.
Oggi under 25 significa essere nato dopo il 1999, quindi appartenere prevalentemente alla Gen Z (1997-2012), la prima generazione di nativi digitali cresciuti con i social network. Di conseguenza, le consuetudini linguistiche dei ragazzi degli anni Venti si stanno differenziando da quelle delle fasi precedenti per una serie di caratteristiche inedite, derivanti in larga misura dal trasferimento di alcune forme della socializzazione dagli spazi reali, caratteristici dei luoghi di aggregazione storica (la piazza, la strada, il muretto, il bar, ecc.), all’ambiente virtuale.
Rispetto al passato, il LG odierno è ad esempio caratterizzato da un progressivo incremento
della frammentarietà testuale, evidente anche sul piano del parlato (si veda più in basso il caso del brain rot), dal livellamento su scala geografica (fatte salve le aree peninsulari ancora marcatamente dialettofone) e dall’apertura incondizionata a elementi extraverbali o paraverbali provenienti dalla scrittura tecnologica (si pensi all’imprescindibile apparato iconico, il cui peso è tale da determinare casi di esondazione semiotica, vale a dire il ‘parlare per meme’, il ‘farsi verbo’ di alcune emoji mediante transcodificazione posteriore).
Sul piano lessicale, la novità di gran lunga più appariscente è senza dubbio costituita dalla diffusione di parole e modi di dire provenienti dalle diverse tipologie di scrittura digitale e di oralità trasmessa dei social network, in particolare di TikTok. Aggiungiamo che la maggior parte di questi neologismi proviene dall’inglese, e che il nucleo più sostanzioso di questo complesso lessicale e fraseologico è individuabile nell’ambito dei tormentoni, vale a dire forme trasmesse all’interno di contenuti di varia natura, spesso estemporanei (estratti video o audio, immagini, frammenti di brani musicali), divenute popolari grazie a una combinazione propizia di eventi, una tempesta perfetta che agisce da trampolino verso la viralità.
Così inteso, il LG odierno sembrerebbe quindi uno stile caratterizzato – nei suoi tratti innovativi – da un agglomerato di forme effimere, sottoposte a rinnovamento continuo: schegge linguistiche distaccatesi dal contesto originario (per lo più angloamericano), replicabili e propagabili per imitazione in situazioni comunicative variegate, dalla scrittura all’oralità, ed eventualmente modificate a più livelli per finalità espressive.
Qualche esempio:
brain rot: parola dell’anno per il 2024 secondo l’Oxford English Dictionary, indica alla lettera la marcescenza del cervello, e delimita tanto i contenuti privi di alcun valore educativo, artistico o culturale che circolano in grande quantità sui social media quanto le conseguenze negative che questi determinano sull’individuo attraverso lo scrolling incontrollato di telefoni e altri supporti; si diffonde inizialmente all’interno delle piattaforme sociali, e in particolare su TikTok, proprio presso i rappresentanti della Gen Z (e della successiva Gen Alfa) per finalità autoironiche, e con simili proponimenti giunge nel LG italiano; es. “Nessuno è così brainrot da affermare con serietà che nella carbonara ci va la panna” (Slengo s.v.). Giovani e giovanissimi, inoltre, impiegano spesso l’espressione per raffigurare uno stile comunicativo, tanto scritto quanto parlato, estremamente trascurato a livello sintattico e povero dal punto di vista lessicale e semantico, costituito di meme nonsense e di tormentoni assai scadenti (i cosiddetti meme brain rot), talvolta composto di soli suoni e borbottii (brain rot sound), prodotto del “marciume cerebrale” generato dall’eccessiva esposizione a contenuti di qualità scadente propri dell’ambiente digitale; e si veda anche il verbo brainrottare ‘esprimersi, comporre contenuti sui social utilizzando questo stile’.
chad (anche nelle varianti accrescitive chaddone e gigachad): stereotipo di un ipotetico modello di maschio alfa caratterizzato da avvenenza e virilità ma dotato – nonostante una smodata autostima – di scarsa intelligenza, forse dal nome proprio Chad, ritratto con addominali scolpiti e mascella accentuata in numerosi meme parodici del web.
crush: infatuazione, sbandata; la persona per la quale si ha l’infatuazione(Zingarelli 2025 s.v.). Nel linguaggio della Gen Z il termine viene impiegato nell’espressione 'avere una crush per qualcuno' (es. “Ho una crush per il mio migliore amico”), mutuata dall’inglese 'to have a crush on someone' avere una cotta, un’infatuazione per qualcuno: per estensione, oggi è spesso utilizzato – analogamente a quanto accade nella lingua d’origine – per indicare ‘la persona per cui si prova la cotta’, anche in sostituzione del nome proprio (es. “Crush mi ha finalmente risposto”).
(do it) for the plot: letteralmente ‘(fallo) per la trama’, è locuzione impiegata per invitare qualcuno (o sé stessi) ad affrontare le situazioni incerte senza pensare troppo a possibili conseguenze sfavorevoli. Viene usata principalmente in ambito sentimentale: es. “Non sai se chiedere di uscire alla ragazza che hai appena conosciuto? Nel dubbio, do it for the plot”. L’espressione è giunta in orbita italiana a partire dal 2023 grazie ai video di TikTok; nella nostra lingua ha trovato impiego anche nella variante con parziale italianizzazione '(fallo) per il plot' (es. “Hai paura a dichiararti? Non importa, fallo per il plot”).
mio padre: espressione impiegata per manifestare profonda considerazione per l’autore di una specifica azione, di un motto, di un video, di un post, ecc. (es. “Alberto Angela: mio padre”; “Fai, dici o scrivi qualcosa che apprezzo molto? Mio padre”); è nata sul finire del 2020 nell’ambiente videoludico di Twitch ed è divenuta virale nell’ultimo anno su TikTok. Con il tempo, un’analoga funzione è stata estesa anche ad altri gradi di parentela (mia madre, mia sorella, mia zia, ecc.; es. “La prof. di lettere? Mia madre”); se strutturate attraverso combinazione in serie, queste formule hanno la funzione di amplificare fino al livello massimo la stima verso la persona cui ci si riferisce: “Alberto Angela, mio padre, mia madre, mia zia, mio zio, mia sorella, mio fratello e tutto il mio albero genealogico”.
maranza: erroneamente ritenuto un neologismo degli ultimi anni, è voce di origine discussa che già negli anni Ottanta e Novanta del Novecento, per lo più in area milanese e settentrionale, indicava il ‘giovane dai modi rozzi, che segue gli aspetti più appariscenti e volgari della moda’, parente stretto del tamarro; il termine costituisce quindi un interessante esempio di recupero e rivitalizzazione di forme del linguaggio giovanile storico da parte della Gen Z. Di seguito l’identikit del maranza 2.0 secondo slengo.it: 'Lo riconosci dalla permanente, dalla tuta Nike, dalle TN e dal borsello Louis Vuitton rigorosamente tarocco (“Fra ti giuro che è vero”). Ha un modo di atteggiarsi più che scortese e fintamente criminale. Ascolta musica trap ad alto volume, e le sue conversazioni sono caratterizzate da toni molto volgari che iniziano spesso con espressioni quali fra o bro'.
situationship (anche situazione, con calco semantico): voce che designa quella zona grigia che, nelle dinamiche relazionali, si colloca tra l’amicizia e il rapporto sentimentale costituito e che, soprattutto presso la Gen Z, sembra procedere verso una ridefinizione dei principi di amore e sesso all’interno della vita di una coppia esclusiva. Si riproducono di seguito alcune delle definizioni che sono state fornite da alcuni giovani sollecitati a riguardo: 'Fare finta di stare insieme ma non stare insieme: questa è la situationship'; 'È una sorta di scopamicizia con una persona con la quale magari stai anche bene ma non ci stai insieme; dall’altro lato, però, ci sono a volte dei comportamenti che fanno pensare a una relazione, quindi le coccole, le attenzioni, queste robe qua, ma non è niente di vero perché fondamentalmente è uno sfruttarsi a vicenda'; 'Rispetto alla scopamicizia nella quale ci si sente solo per accordarsi per vedersi, la situationship può avere durata più lunga, anche anni, ma non evolve mai; poi, di solito, finisce perché uno dei due improvvisamente sparisce'.