Da Dante a Foster Wallace, come la letteratura ha raccontato l'acqua

"Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: – Salve, ragazzi. Com’è l’acqua? – I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: – Che diavolo è l’acqua?"
Così David Foster Wallace apriva il suo discorso alla cerimonia delle lauree del Kenyon College nel 2005. Una sorta di parabola didascalica, com’era consuetudine raccontare in occasioni simili, che lo scrittore americano scelse per mostrare come le realtà più ovvie, presenti e fondamentali siano le più difficili da vedere e capire. L’acqua, appunto. Il liquido più diffuso in natura, uno dei quattro elementi di cui è costituita la materia secondo gli antichi – a partire dal filosofo presocratico Talete e da Platone – la componente principale del corpo umano e la sostanza di cui sono fatti gli oceani e mari che coprono il 71% della superficie del nostro pianeta. Ma, anche, una protagonista assoluta della letteratura e dell’arte di tutti i tempi, dalla Bibbia del diluvio universale alla Ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, passando per il Mediterraneo solcato da Ulisse ai fiumi infernali di Dante, per limitarci a qualche esempio della tradizione occidentale. In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, ne parliamo con Chiara Lombardi, docente di Letterature comparate e Critica letteraria del Dipartimento di Studi Umanistici, che a questo tema ha dedicato alcune delle sue ricerche e pubblicazioni di rilievo.
“Water, water, everywhere”
“L'acqua è onnipresente in letteratura perché è indispensabile alla vita ed è l’elemento che ci custodisce nel ventre materno prima di nascere”, sottolinea Lombardi quando le chiediamo un commento sulla storiella di Foster Wallace. “Forse però proprio perché così vicina, come la vita, è difficile da definire, altrettanto scontata e insieme inafferrabile”. Ma per fortuna esistono la letteratura e l’arte, che aiutano a risvegliare la consapevolezza, e che all’acqua hanno associato storie e rappresentazioni simboliche. La valenza dell'acqua è duplice e rimanda al mistero dell'esistenza: è considerata espressione della bellezza ma ha anche un aspetto inquietante e potenzialmente terribile. “L’ambivalenza dell’acqua consiste nell’essere un elemento di cui siamo composti e, insieme, estraneo, perché noi umani – sottolinea Lombardi – siamo creature d’aria. Quindi da un lato siamo attratti dalla sua bellezza, ma dall’altro ne avvertiamo il pericolo”. Da questa sua caratteristica nasce gran parte della letteratura d'avventura, a partire dall'Odissea per arrivare ai grandi romanzi legati al mare come quelli di Herman Melville, Joseph Conrad, Ernest Hemingway, ma anche di Emilio Salgari e Jules Verne. Forse nessun autore meglio di Melville ha saputo descrivere il fascino che l’acqua esercita sull’uomo, nel primo capitolo di Moby Dick: "Perché gli antichi Persiani tenevano il mare per sacro? Perché i Greci gli fissarono un dio a parte, e fratello di Giove? Certamente tutto ciò non è senza significato. E ancora più profondo di significato è quel racconto di Narciso, che non potendo stringere l’immagine tormentosa e soave che vedeva nella fonte, vi si tuffò e annegò. Ma quella stessa immagine noi la vediamo in tutti i fiumi e negli oceani. Essa è l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita; e questo è la chiave di tutto". Ismaele, il protagonista del romanzo, racconta che tutte le volte in cui si sentiva invadere dalla malinconia e oppresso dall’idea della morte capiva che era tempo di “mettersi in mare”, perché solo lì sentiva di vivere la pienezza dell'avventura.
“Fatti non foste a viver come bruti”
Il desiderio di avventura per mare è presente da sempre in letteratura, e in questo senso Ulisse di Omero è una figura emblematica. Terminata la guerra di Troia, non riesce a far ritorno alla sua Itaca, ma va in giro per dieci anni nel Mediterraneo, per l’opposizione degli dei, per sfortuna, perché trattenuto nei vari luoghi in cui approda da ninfe innamorate o mostri cannibali. Ma, anche, per sua volontà, e per la sete di conoscenza che Dante gli attribuisce nel Canto XXVI dell’Inferno. Nella Commedia l’eroe omerico, relegato nella Bolgia in cui vengono puniti i Consiglieri fraudolenti, confessa che né la tenerezza per il figlio, né la pietà per il vecchio padre né l’amore per la moglie riuscirono a vincere il suo desiderio di imbarcarsi nuovamente verso i confini del mondo conosciuto, spinto dal desiderio di “divenir del mondo esperto/ e delli vizi umani e del valore”. A costo di venire inghiottito dalle onde assieme ai compagni che l’avevano seguito, in quello che Dante definisce un “folle volo”.
“L’acqua già nell’Odissea è rappresentata come veicolo di conoscenza: i Lestrigoni, il Ciclope, e poi le Sirene, Circe, Calipso… Ulisse vive tutte le sue avventure approdandovi dal mare, nel quale si perde per (ri)conoscersi e raccontarsi”, spiega Lombardi, che però evidenzia come anche qui affiori la duplicità di questo elemento: “Se da un lato appare come positivo perché funzionale alla conoscenza, dall’altro può diventare nemico, sineddoche della natura con cui l’essere umano si confronta in un vero e proprio corpo a corpo”. Ci sono infatti almeno due momenti di violenti scontri tra Ulisse e il mare nell’Odissea, che si risolvono solo grazie all’aiuto della dea Atena, altrimenti l’eroe sarebbe stato sopraffatto dalle onde come nella versione di Dante, in cui alla fine il mare si “richiude” inghiottendolo assieme ai suoi compagni.
La lotta tra uomo e natura
Ulisse, d’altronde, è solo uno dei tanti personaggi letterari che inscenano la lotta dell'uomo contro la natura, uno scontro che si esprime in forme diverse in diversi autori. Per tornare a Moby Dick, la balena bianca che cos'è? È parte della natura, ma di una natura non conosciuta che è un enigma, un mistero, una forza quasi divina, con cui Acab si misura in una sfida corpo a corpo. Oppure il tifone che dà il titolo al racconto di Joseph Conrad pubblicato nel 1902, in cui va nuovamente in scena lo scontro ravvicinato tra l’aspetto terribile dell’acqua e un personaggio - in questo caso il Capitano MacWhirr che con il suo piroscafo attraversa il Mare Cinese Meridionale. “Il tifone, che tra l'altro è un mostro della mitologia greca già presente in Esiodo, diventa espressione della forza del mare, una forza mitologica, titanica, sovrumana, capace di annientare l’uomo”, precisa Lombardi. “Come peraltro avviene nel racconto di Edgar Allan Poe Una discesa nel Maelström, dove l'acqua rappresenta un'esperienza estrema che, sola, dà accesso alla conoscenza assoluta, in seguito alla quale l’uomo non sarà più lo stesso”.
Creature d’acqua
Non solo mostri o animali temibili: l’acqua è personificata anche in creature delicate e ammaliatrici che animano l’immaginario naturale fin dall'antichità, dalla mitologia greca delle Ninfe e delle Sirene al folklore nordico, con le Ondine. “Ma anche questi esseri affascinanti sono da interpretare nella loro simbologia”, mette in guardia Lombardi. Basti pensare alle Sirene, che con la loro voce seducono Ulisse evocando quello che per lui è più desiderabile e allettante, ma che l’avrebbe portato alla rovina se non si fosse difeso facendosi legare e costringendo i compagni a tapparsi le orecchie con la cera. O all’Ondina, altra creatura d’acqua bellissima, che non ha un’anima finché non troverà l’amore, ovvero finché non si stabilirà un rapporto tra l'elemento più spiccatamente naturale e quello più umano, secondo l’interpretazione della favola romantica di Friedrich de la Motte-Fouqué (1811). E poi ci sono le Ninfe, geni femminili di giovani donne che abitano fiumi, ruscelli e laghi o le selve dei monti e incarnano la sacralità della natura nell'elemento vegetale e nelle acque che scorrono sulla superficie della terra. Ninfe che, così come l’acqua che non sta immobile ma scorre e dà vita a un ciclo di continue trasformazioni, sono molto presenti nelle Metamorfosi di Ovidio: “Nelle Metamorfosi c'è moltissima acqua perché l'acqua è l'elemento che permette l’attraversamento dei confini conducendoci fuori dal mondo abituale. E ci sono molte trasformazioni in acqua, che spesso riguardano ninfe che tornano all'acqua, in alcuni casi, dopo essere state inseguite dal loro seduttore”. Un nome per tutti, la ninfa Aretusa, che la dea Artemide tramutò in fonte sull’isola di Ortigia, a Siracusa, per sottrarla alle molestie del dio Alfeo, figlio di Oceano, che si era innamorato di lei.
Tutto scorre
L’acqua dunque scorre irreversibilmente, e in questo si fa metafora perfetta della vita e del tempo, a partire dal noto aforisma attribuito a Eraclito: panta rei, tutto scorre, non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume perché l’acqua non è più la stessa, e anche noi siamo cambiati. E dunque il fiume è immagine ideale per descrivere il corso della vita umana, come sceglie di fare Giuseppe Ungaretti nella poesia I fiumi in cui sintetizza la sua autobiografia attraverso i corsi d’acqua che hanno segnato la sua esistenza, l’Isonzo, il Serchio, il Nilo e la Senna: “Ho ripassato/ Le epoche/ Della mia vita/ Questi sono/ I miei fiumi”.
“Come l’acqua, anche la letteratura e la critica letteraria sono discipline che non stanno mai ferme, ma si attivano e si aggiornano grazie alle sollecitazioni di quello che succede nella società, quindi negli interessi delle persone e nei nuovi orientamenti sociali”, afferma Lombardi. La sensibilità al problema ecologico, rafforzatasi negli ultimi vent’anni, ha infatti influenzato la critica dando vita al movimento della cosiddetta ecocritica, ovvero una critica sensibile ai rapporti tra essere umano e ambiente, che cerca anche di porre l'essere umano sullo stesso piano di tutti gli altri esseri viventi. L'acqua, per tornare al nostro tema, è stata oggetto di analisi in particolare dell’ecocritica marina e delle cosiddette blue humanities, un nuovo ambito disciplinare che esamina criticamente le problematiche legate a oceani, mari e acque dolci del pianeta attraverso diverse prospettive socioculturali, letterarie, storiche ed estetiche.
Ma anche la letteratura ha risposto alle sollecitazioni della crisi climatica e ambientale, trattando queste tematiche e sviluppando una nuova prospettiva che si sta configurando oggi quasi come un genere letterario a sé: la climate fiction. Con questo termine si indica la letteratura che si occupa di cambiamenti climatici, con opere spesso ambientate in un futuro prossimo o in mondi fittizi che sperimentano i cambiamenti climatici. Due nomi esemplari: Amitav Gosh e Margaret Atwood, scrittrice canadese che tra il 2003 e il 2013 ha pubblicato quella che oggi viene considerata un pietra miliare della climate fiction, la MaddAddam Trilogy: tre romanzi ambientati nel futuro prossimo, in un ecosistema sconvolto da una catastrofe ecologica. Nel secondo libro della trilogia, L’anno del diluvio, a minacciare l’umanità torna l’archetipo biblico del diluvio. Ma questa volta, il pericolo non viene dall’acqua ma dalla sua assenza: si tratta infatti di un diluvio senz’acqua.