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Il 2024 al cinema: i film da vedere

Tra Leoni e Palme, America e Europa, remoti villaggi dell’Anatolia e aule di tribunale: ecco otto diversi e profondissimi sguardi sui meccanismi che regolano il mondo e la nostra intimità, compresa la grande lezione di un maestro per nulla senile
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4 min
Esterno di vecchio cinema

Nei bilanci di fine anno entra sempre anche quello che abbiamo visto, ascoltato, letto. Il cinema dell’anno è per tradizione quello uscito nelle sale cinematografiche – ma ora anche sulle piattaforme, per forza di cose – tra gennaio e dicembre. Quella che segue non è una classifica ma otto titoli che ci ricorderemo, al di là di tutto, anche solo per un’inquadratura, per una battuta, per uno sguardo che ci dicono dove va il cinema oggi.

Anora di Sean Baker

Dopo Manhattan, la San Fernando Valley, Tinseltown L.A., i sobborghi di Orlando, Texas City, questa volta è a Brooklyn che fa tappa Sean Baker continuando la sua riflessione feroce e affettuosa sull’America di oggi. Meritata Palma d’oro al Festival di Cannes, Anora, come la sua protagonista, è un inarrestabile fiume in piena, un travolgente saggio sullo sguardo e sul controcampo un po' Safdie, un po' Una notte da leoni e tanto Sean Baker.

Bestiari, erbari, lapidari di Massimo d’Anolfi e Martina Parenti

Dopo il magnifico Guerra e pace, d’Anolfi e Parenti tornano a interrogarsi con la meticolosità che contraddistingue il loro lavoro di indagine sui meccanismi che regolano il mondo. Cosa fanno le immagini? Cosa hanno fatto? Cosa possono fare? Muovendosi come sempre con delicatezza estrema tra i materiali d’archivio e l’esplorazione di luoghi misteriosi, un altro prezioso tassello di una riflessione rigorosa sulla Storia, la memoria e la relazione tra l’uomo e ciò che gli sta intorno.

Il caso Goldman (Le Procès Goldman) di Cédric Kahn

Da sempre Cédric Kahn ci racconta con il suo lavoro da regista la tensione tra la dimensione ordinaria e quella straordinaria della vita. Abituato a far muovere quasi freneticamente i suoi personaggi, in questo ultimo film chiude invece per la quasi totalità del tempo il suo straordinario protagonista Arieh Worthalter in un’aula di tribunale. Così la tensione tra ordinario e straordinario si fa ancora più intima in una sublimazione della narrazione che restituisce con forza dirompente che più che la realtà dei fatti a contare sia la verità emotiva.

Green Border (Zielona granica) di Agnieszka Holland

A oltre trent’anni da Europa Europa, Agnieszka Holland torna a chiedersi dove sia l’Europa. E lo fa con la drammatica lucidità e franchezza di qualcuno che ha il coraggio di lanciare un atto d’accusa fermo e senza concedere attenuanti. Dove è l’Europa nel dramma che si consuma sul confine tra Polonia e Bielorussia? Un film duro e gelido come lo è la sua fotografia in bianco e nero, senza concessioni a sentimentalismi o a derive retoriche. Una grande prova di cinema politico.

Hit Man - Killer per caso (Hit Man) di Richard Linklater

Che Linklater sia uno che non teme le sfide lo dimostra la varietà delle forme del suo cinema. Qui, si misura con la screwball comedy con sopraffina intelligenza e divertimento rispettandone la vocazione popolare e allusiva. Cosi, insieme a Glen Powell – insostituibile sodale, sceneggiatore e protagonista – si diverte a riadattare alla contemporaneità il principio di fondo di quella commedia: creare uno spazio che si colloca tra immaginazione e realtà, un luogo in cui sospendere il giudizio e lasciar trionfare il desiderio.

Racconto di due stagioni (Kuru otlar üstüne) di Nuri Bilge Ceylan

La lunghezza crescente dei film è uno dei temi del contemporaneo: è davvero necessario che i film siano lunghi o è una posa autoriale? Il quesito è certo legittimo ma non nel caso dell’opera del regista turco. I suoi, infatti, non sono film lunghi ma sono film sul tempo della vita, sul nulla e sul tutto che tengono insieme le relazioni umane e che, proprio in virtù di questo, si costruiscono sul tempo altro del cinema. Un tempo fatto anche di contemplazione e di invisibilità.

La stanza accanto (The Room Next Door) di Pedro Almodóvar

Leone d’oro alla Mostra di Venezia, La stanza accanto, primo film in inglese di Almodóvar, non è solo probabilmente il più bel film dell’anno ma è una vera e propria lezione di cinema. La grande lezione di un maestro per nulla senile, capace come nessuno di parlare con umanità e inarrivabile eleganza della vita, della morte e delle storture di un mondo in cui si dovrebbe, almeno, avere il diritto di poter decidere per sé e per il proprio corpo.

Vermiglio di Maura Delpero

Nel sua opera seconda Maura Delpero decide di prendersi una quantità smodata di rischi: il film in costume, l’ambientazione montana, l’uso del dialetto… e ne esce trionfante. Con intelligenza e misura, senso dell’inquadratura e della gestione del racconto, la regista riesce a chiamare in causa tante questioni delicate (la maternità e il femminile, il legame con le proprie radici e la necessità di non esserne soffocati, la guerra e le macerie umane che ne restano) senza mai suonare programmatica. Un film intimo e universale che guarda a un cinema di luoghi e di poesia trovando nella sincerità la sua forza.