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L’adolescenza è una risorsa, non un problema

L’adolescenza è davvero un’età ingrata? Con l'aiuto di Tatiana Begotti, docente di Psicologia dello sviluppo, abbiamo provato a capire come si è modificata questa età di passaggio e quali sono le questioni che affrontano oggi gli adolescenti
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Adolescente manifesta con un cartello in mano

Come si può affrontare in un mondo sempre più tecnologico e interconnesso - ma anche sempre più incerto - il passaggio dall'età infantile a quella adulta? L’adolescenza è diventata oggetto di studio specifico nel primo Novecento ma se inizialmente era associata per lo più al disagio e al tormento esistenziale, definita come una malattia sociale quando non addirittura una malattia psichiatrica, nel tempo ha sollecitato un'attenzione diversa. Gli studi di Psicologia dello sviluppo ne hanno infatti individuato peculiarità e problematiche arrivando ad articolare questo complesso momento di passaggio in diverse fasi caratterizzate da proprie specificità; si parla oggi di preadolescenza, di età puberale, di tarda adolescenza, di giovane età adulta, ad indicare le molte sfumature che caratterizzano questo periodo diventato così ampio.

La lunga adolescenza 

Il primo dato che si può rilevare è infatti un sostanziale allungamento dell’adolescenza che inizia sempre più presto e finisce sempre più tardi. “Nel corso dell'ultimo secolo si è verificata una progressiva anticipazione dello sviluppo fisico e biologico con i caratteri sessuali primari e secondari che arrivano prima. Un fenomeno che gli studiosi hanno attribuito ad aspetti legati alla nutrizione e al miglioramento delle condizioni igienico sanitarie ma anche al contesto in cui si vive caratterizzato da una sollecitazione continua verso un’adultità precoce”, osserva Tatiana Begotti, docente di Psicologia dello sviluppo presso il Dipartimento di psicologia all’Università di Torino. “Allo stesso tempo però, da un punto di vista sociale e culturale, l'ingresso a pieno titolo nel mondo adulto in termini di distacco dal nucleo familiare con relativa autonomia psicologica ed economica è stato sempre più procrastinato. Per questo si è reso necessario uno studio più articolato dell’adolescenza e dei compiti di sviluppo che la caratterizzano e che si presentano in momenti differenti”. In questo modo negli studi di psicologia si è arrivati a superare la concezione semplicistica dell’adolescente come un non più bambino e un non ancora adulto dando dignità al processo di cambiamento e valorizzando i vari momenti critici che l’individuo attraversa nella definizione della propria identità.

Anche nella relazione genitori-figli, che da sempre è considerata uno degli aspetti più delicati della progressiva conquista di autonomia da parte delle ragazze e dei ragazzi, si è assistito negli ultimi decenni a dei cambiamenti; i genitori sono spesso anagraficamente più distanti dai propri figli rispetto al passato ma con una vicinanza affettiva ed emotiva maggiore. “All’interno di un arco temporale così lungo naturalmente anche la genitorialità cambia, deve cambiare; inoltre un tempo la genitorialità era molto più autoritaria, con una dimensione normativa predominante, in cui le regole e il controllo venivano imposte a discapito della vicinanza che caratterizza la genitorialità più contemporanea. Oggi gli studi ci dicono che lo stile educativo che porta maggiore benessere e maggiore capacità di adattamento, è quello che coniuga la dimensione affettiva caratterizzata dal dialogo con un’autorevolezza normativa che deve restare presente, non imposta in modo autoritario, ma spiegata e condivisa in modo chiaro ed esplicito. È infatti dimostrato che l’iperpermissivismo non aiuta il percorso di emancipazione: mantenere una dimensione normativa equilibrata è sicuramente più complicato nel mondo iperconnesso di oggi ma è molto importante dare delle regole pensate per il benessere dei figli che consentano all’individuo in crescita di elaborare un pensiero morale che lo aiuti ad autoregolarsi. Il principio è semplice: se le regole non ci sono, non si impara a riconoscerle e a posizionarsi rispetto a esse, anche contestandole”, aggiunge. 

Dis-orientamento

Conoscere meglio le caratteristiche e i compiti di sviluppo dell’adolescenza è anche un modo per smontare i pregiudizi che rischiano di semplificarne la complessità. Si pensi per esempio all’immagine che spesso viene veicolata dai mezzi di informazione dove gli adolescenti trovano spazio per lo più nella cronaca come protagonisti di episodi estremi che non rispecchiano l’importanza del loro ruolo sociale né rispettano la criticità delle questioni psicologiche che affrontano; un sensazionalismo che rischia di alimentare un senso di preoccupazione unidirezionale e di non affrontare i problemi. “Non si può generalizzare. Naturalmente ci sono dei comportamenti a rischio che vanno analizzati e su cui lavorare anche in termini di prevenzione ma l’adolescenza non è un problema, è una risorsa. L’adolescente costruisce la propria identità anche attraverso l’acquisizione di autonomia e, proprio per questo, è importante che l’adulto lo accompagni fornendo modelli comportamentali e identitari di riferimento in cui l'adolescente si possa riconoscere o, al contrario, dai quali possa prendere le distanze. La difficoltà maggiore di fronte alla quale i ragazzi si trovano oggi è la vastità delle informazioni, degli stimoli, delle sollecitazioni; una moltitudine rispetto alla quale è facile provare una sensazione di smarrimento, per questo vanno sostenuti e aiutati a orientarsi”, sottolinea ancora Begotti. 

È d’altronde questa l’età in cui si forma anche la capacità di pensiero astratto, quello che gli psicologi chiamano pensiero formale e che include l’orizzonte entro il quale si definisce il proprio modo di comportarsi e di agire nel mondo. Intorno a questioni come l’ambiente, l’identità di genere e l’inclusività, per esempio gli adolescenti di oggi sono molto diversi dai loro coetanei di qualche decennio fa. Sono forse la prima generazione ad aver interiorizzato e fatto propria una nuova sensibilità, ad aver normalizzato certi comportamenti, ad aver abbracciato un nuovo attivismo alimentato anche dall’ansia per il futuro. 

Nuovi valori

“È importante recuperare la psicologia culturale come cornice teorica: non si può osservare e analizzare un comportamento fuori dal contesto. Questi nuovi valori sono stati assorbiti e metabolizzati dagli adolescenti perché sono i temi sensibili del contesto sociale e culturale in cui sono cresciuti. Far propri certi valori vuole anche dire individuarli come motivi di scontro con il mondo adulto che, per esempio, si identifica in linea generale con la politica. L’attivismo fa leva infatti sulla socialità, sulla condivisione e in questa dimensione gioca un ruolo fondamentale anche la prospettiva che si ha sul futuro e che, per questa generazione in particolare, è spesso legata alla paura e all'incertezza. Anche in questo caso però bisogna stare attenti al sensazionalismo di certe etichette come quella spesso abusata di eco ansia. Certo ci sono delle manifestazioni di ansia clinica laddove il soggetto presenta magari anche fragilità di altro tipo ma la preoccupazione legittima non equivale necessariamente a una manifestazione di ansia che compromette la salute mentale. La preoccupazione costruttiva, come la chiamiamo noi psicologi, al contrario è un motore importante perché induce comportamenti proattivi e ha delle ricadute positive come la motivazione, la condivisione di valori, l’impegno, che sono fondamentali per la costruzione dell’identità individuale e della capacità di socializzazione. Un po’ come per la tecnologia, certamente ci sono dei problemi, dei rischi di dipendenza, dei rischi di sicurezza ma le connessioni sono anche una nuova possibilità di comunicare in modi prima impensabili, possono rappresentare un'opportunità e non solo un rischio. Se il futuro è incerto, il nostro contributo di adulti è accompagnare gli adolescenti rinsaldando in loro la speranza di poterne costruire uno”, conclude la professoressa Begotti.

 

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