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L’uomo è una specie fluviale ma se n’è dimenticato

Dipendiamo dai fiumi oggi come 8mila anni fa, abbiamo però pensato di fare a meno di questa amicizia. Con il professor Stefano Fenoglio riannodiamo i fili di una relazione finita male per capire come ricostruirla, in una fase di cambiamento climatico
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Fiume

Nonostante il 90% della popolazione umana sia insediato a meno di dieci chilometri da un corso d’acqua, il rapporto tra uomini e fiumi si è da tempo deteriorato. Eppure, senza i fiumi non saremmo quelli che siamo: hanno permesso la nascita delle nostre società così come le conosciamo, hanno accompagnato la nostra crescita culturale e hanno modellato il nostro paesaggio interiore oltre che plasmato quello esteriore. Con Stefano Fenoglio, autore di Uomini e fiumi, storia di un’amicizia finita male (Rizzoli, 2023), nonché docente di zoologia al Dipartimento di Scienze della vita e biologia dei sistemi e cofondatore di Alpstream (il Centro per lo studio dei fiumi alpini che ha sede a Ostana, a un passo dalle sorgenti del Po), riallacciamo le fila di un discorso lasciato in sospeso. E lo facciamo in occasione della Giornata mondiale dell’acqua. 

Una relazione in crisi

Herman Melville in Moby Dick scriveva: Prendi qualsiasi sentiero tu voglia, e dieci a uno ti condurrà in una valle e ti lascerà vicino a un torrente. C’è del magico in questo. La letteratura, da Joseph Conrad a Gabriel García Márquez, è costellata di protagonismo dei fiumi. “Noi non abbiamo branchie, né pinne, né piedi palmati ma si può tranquillamente sostenere che il nostro percorso evolutivo sia indissolubilmente legato alle acque correnti. Siamo una specie fluviale, perché senza il rapporto particolare che abbiamo avuto con i fiumi noi non saremmo altro che un’altra varietà di primati cacciatori e raccoglitori”, spiega il professor Fenoglio. I fiumi sono stati l’ambiente naturale che più di ogni altro ci ha permesso di diventare ciò che siamo. “Siamo usciti dalle dinamiche ecologiche classiche quando abbiamo iniziato a produrre in modo autonomo il nostro cibo, e questo è stato possibile grazie all’adozione delle pratiche irrigue in agricoltura. Da specie nomade, che ragionava in termini di territori siamo diventati una specie stanziale, che ragiona in termini di terreni”. I corsi d’acqua hanno stimolato la nascita delle città e di società sempre più complesse e strutturate, l’espansione dei commerci e dei trasporti, l’evoluzione tecnologica e delle conoscenze, il differenziamento del lavoro, l’incremento demografico. 

Qualcosa si è rotto. “Con l’andare del tempo, il rapporto tra noi e i sistemi fluviali è andato deteriorandosi, eroso e poi sepolto dalla nostra avidità, dall’esponenziale crescita demografica e dalla superbia dovuta alle nostre sempre maggiori capacità tecnologiche e scientifiche. Il fiume, da mentore e amico prezioso, forte e degno di rispetto, si è trasformato in un servitore da spremere senza misura, la cui congenita irrequietezza procura fastidi e seccature”, sottolinea Fenoglio. Torna prepotentemente alla ribalta solo in occasione di grandi catastrofi, come alluvioni o secche prolungate, occupando le prime pagine dei quotidiani e i titoli dei telegiornali, per scomparire nuovamente dopo pochi giorni. “Il succedersi di tre o quattro rivoluzioni industriali, l’inurbamento e specialmente la recente rivoluzione digitale e informatica ci hanno sempre più allontanato da questi antichi amici, nascondendo o confondendo il ruolo fondamentale che hanno avuto (e hanno ancora) per il nostro benessere e facendoli apparire come un elemento banale, scontato o peggio ancora inaffidabile e pericoloso del mondo che dominiamo. Questo atteggiamento è decisamente pericoloso, in quanto noi dipendiamo dai fiumi adesso come 8mila anni fa”.

Un reticolo di sviluppo

Anche il nostro territorio è strettamente legato ai fiumi. Dallo sviluppo dell’agricoltura alla nascita delle grandi città, dalla localizzazione delle aree industriali a quelle delle principali vie di comunicazione, lo sviluppo della Pianura Padana è da sempre intrinsecamente legato al Po e ai suoi affluenti. “Se già le popolazioni celtico-liguri avevano un radicato rapporto con i fiumi, con l’arrivo delle legioni romane – precisa Fenoglio – il reticolo idrografico del Po divenne l’ossatura attorno alla quale si condensarono e crebbero le attività umane. I centri preromani nati sulle rive dei fiumi vengono rapidamente inseriti nella struttura romana, come Pedo (l’attuale Borgo San Dalmazzo, sulla Stura di Vinadio), Pollentia (Pollenzo, sul Tanaro), Aquae statiellae (Acqui Terme sulla Bormida), Hasta (Asti, sul Tanaro) e numerosi altri. La stessa Torino nasce come castrum romano (Julia Augusta Taurinorum) costruito su un preesistente abitato gallico (Taurasia, nella zona dell’attuale Vanchiglietta) e si configura sin da subito città marcatamente ‘fluviale’, cresciuta tra il Po, la Dora, la Stura e il Sangone. Successivamente, l’epoca medievale vede il fiorire lungo i principali fiumi di grandi Abbazie, la cui opera instancabile era rivolta al miglioramento agricolo del territorio (bonificare da bonum facere, cioè rendere migliore). In tempi più recenti, è interessate rilevare come tra i primi obiettivi cui si dedicò l’Italia post-unitaria si annovera la realizzazione di un’imponente opera che collegava e distribuiva le acque dal Po al Ticino: il Canale Cavour, un gigante lungo 82 km che rese immediatamente irrigua una superficie di oltre duecentomila ettari e che resta ad oggi uno dei capolavori mondiali dell’ingegneria idraulica”. E anche lo sviluppo industriale del Piemonte racconta una storia di prosperità e attrazione legata alle acque correnti, vedi il caso del capoluogo. 

Il fiume Po a Torino

Come riallacciare un'amicizia 

Che fare, allora, per recuperare un rapporto sano e costruttivo con i fiumi? “Tre cose e la prima è ritornare a frequentare i fiumi, perché – afferma Fenoglio – nella nostra esperienza quotidiana noi non ci preoccupiamo molto di chi non conosciamo. Ci prendiamo, invece, maggiormente cura di ciò che conosciamo e conosciamo meglio ciò che frequentiamo. Nel riavvicinare le persone ai fiumi tutti possono svolgere un ruolo importante, dalle scuole di ogni ordine e grado alle amministrazioni, dalle famiglie alle associazioni sportive”. Poi, bisognerebbe lasciar gestire il rapporto con i fiumi a chi li conosce e frequenta:La nostra mancanza di comprensione ed empatia riguardo ai fiumi è drammaticamente peggiorata da quando scienza e tecnica sono state aggiogate al carro di una presunta democrazia della conoscenza. Gli interventi che realizziamo sui fiumi devono essere ben ponderati, gestiti caso per caso e specialmente condotti sulla base di competenze tecniche e scientifiche, non sull’onda di spinte irrazionali e dogmatiche, spesso alimentate da ignoranza o peggio ancora da interessi economici più o meno mascherati”. E, infine, gestire problemi complessi con soluzioni adatte “Occorre iniziare a pensare a una visione più unificata e olistica delle scienze fluviali: questo non significa assolutamente perdere le competenze e le caratteristiche di una preparazione specialistica, ma portare i diversi specialisti a dialogare maggiormente tra loro”. Da basi comuni si possono costruire modelli di interpretazione complessi per comprendere meglio i fiumi, intensi come veri e propri sistemi viventi e non semplici puzzle di componenti. 

Sistemi fragili e minacciati 

Pur rappresentando solamente lo 0,0002 % dell’acqua del pianeta Terra si stima che i fiumi contengano una percentuale variabile dal 6 al 9 % della biodiversità complessiva e hanno un ruolo fondamentale per la vita di quasi otto miliardi di persone. “Purtroppo sono tra gli ambienti più fragili e minacciati del pianeta. Oltre a fattori che agiscono su scala globale (come il cambiamento climatico, con lo stravolgimento del regime delle precipitazioni e l’incremento delle temperature, la scomparsa dei ghiacciai alpini che rappresentavano una riserva idrica fondamentale per garantire flussi abbondanti anche nelle stagioni più secche) esistono – aggiunge il professor Fenoglio – fattori locali come l’alterazione della qualità chimica delle acque, l’eccessivo prelievo, la diffusa artificializzazione degli alvei. Inoltre, come è stato recentemente evidenziato da uno studio condotto dal nostro Dipartimento (DBios) assieme a quello di Chimica, spesso questi fattori diventano sinergici”.  Durante ogni siccità quello che colpisce l’opinione pubblica è l’aspetto legato alla quantità dell’acqua. “Ma le siccità hanno anche un impatto, meno noto ma potenzialmente drammatico, sulla qualità dell’acqua: meno acqua nel fiume significa una mancata diluizione e metabolizzazione dei reflui che escono dai nostri impianti di depurazione, con il risultato che agenti microbiologici (come la salmonella) o sostanze tossiche potenzialmente pericolose sono molto più presenti e diffuse sul nostro territorio durante i periodi di carenza idrica”.

Vere sentinelle del cambiamento

I fiumi sono sentinelle del cambiamento climatico e le loro condizioni sono al momento attuale precarie se non drammatiche. “Il regime idrologico – spiega Fenoglio – è ormai completamente stravolto con l’alternarsi di lunghi periodi di carenza idrica e brevi ma pericolosi periodi di piena e con la diffusa alterazione morfo-idrologica di questi tutti i sistemi piemontesi, in un momento in cui le nostre richieste di acqua continuano ad aumentare per usi diversi (irriguo, idropotabile, innevamento artificiale, etc.)”. Il centro Alpstream nasce cinque anni fa grazie alla collaborazione con il Parco del Monviso e il Politecnico di Torino, ed è coinvolto in diversi progetti che mirano alla tutela ed alla gestione dei nostri fiumi. “Lavoriamo strettamente con l’Autorità di bacino del Po per monitorare i flussi di nutrienti e altri inquinanti nel nostro reticolo fluviale e con Regione Piemonte in numerosi contesti gestionali (dall’ecological flow agli organi consultivi per la conservazione di ittiofauna e habitat acquatici).  Siamo capofila del progetto Life Minnow, finalizzato alla conservazione di specie ittiche minacciate ed endemiche e lavoriamo anche nel Pnrr Agritech nell’ambito della gestione ottimale dell’acqua negli ambienti di risaia. Come attività didattica – conclude il docente di UniTo – ospitiamo a Ostana lezioni, escursioni ed esercitazioni di numerosi corsi di laurea e scuole di dottorato e infine dedichiamo molte energie e tempo alle attività di terza missione, in quanto riteniamo fondamentale e strategico diffondere nell’opinione pubblica una maggiore consapevolezza di quanto siano importanti i sistemi fluviali per il nostro territorio, la sua biodiversità e per la qualità della nostra vita". 

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