Perché esiste una questione giovanile in Piemonte
- Società
In una regione sempre più anziana, emerge una dirompente questione giovanile “che rappresenta una cartina di tornasole dello stato di salute del suo modello di sviluppo”. Lo sostiene il blue paper Il giovane Piemonte, tra sfide demografiche e opportunità di lavoro realizzato dal Centro "Luigi Bobbio" per la ricerca sociale pubblica e applicata del Dipartimento di Culture, politica e società dell'Università di Torino. Curato dai professori Francesco Ramella e Sonia Bertolini, il rapporto sarà presentato e discusso domani, 28 novembre, in un evento al Campus Einaudi (Aula A2) dalle ore 9 alle 13.
Alla regione-giovane dell'epoca dello sviluppo si contrappone oggi la regione-vecchia dell'epoca del regresso. E quello che, ora, il rapporto mette in luce è l'emergere di una nuova generazione che torna a essere distintiva sul piano degli atteggiamenti e dei comportamenti sociali. Visibile anche nella sfera pubblica. Tuttavia, è invisibile alla politica e alle politiche.
Partendo dai dati, notiamo come negli ultimi 35 anni il numero di giovani tra i 15 e i 34 anni si sia in Piemonte ridotto di quasi un terzo, toccando quota 834 mila. Questo calo si inserisce nel più ampio contesto di invecchiamento demografico che caratterizza l’Europa ma che in Italia è più accentuato: la natalità diminuisce e l'aspettativa di vita si allunga.
L'indice di vecchiaia, che misura il rapporto tra la popolazione over 64 e quella under 15, colloca il Piemonte al sesto posto a livello nazionale. Una condizione che alimenta un circolo vizioso tra fragilità demografica ed economica, in cui la diminuzione della popolazione giovanile porta a una contrazione della forza lavoro, influendo negativamente sullo sviluppo e sulle opportunità economiche.
Dal punto di vista storico, il Piemonte ha registrato due picchi distinti nella sua popolazione giovanile. Nel 1955, i giovani rappresentavano il 30,3% della popolazione totale, mentre nel 1982 si è registrato il massimo storico in termini assoluti, con 1 milione e 249 mila giovani residenti. Questo periodo di crescita demografica è stato alimentato sia dal baby boom post-bellico sia dall'attrattività economica della regione, che ha favorito le migrazioni interne.
Dagli anni Novanta in poi, il declino è stato costante sia in termini assoluti che percentuali. E le ultime generazioni, come quella attuale, vivono un'epoca cosiddetta di policrisi, caratterizzata da difficoltà economiche, instabilità lavorative e da una più lenta transizione alla vita adulta. Se i giovani si assottigliano, si allunga la gioventù: i giovani che, tra i 18 e i 34 anni, vivono ancora in famiglia sono il 61,5% (in Italia il 67,4%).
Nonostante il calo demografico e tutte le problematiche connesse, sta emergendo una nuova generazione di giovani che si distingue per il proprio impegno sociale, una maggiore mobilitazione politica e una rinnovata partecipazione nella sfera pubblica. Lo testimoniano le recenti mobilitazioni, soprattutto a Torino, su temi legati all'ambiente, ai diritti civili e alla giustizia sociale. "La consapevolezza di vivere in un periodo storico caratterizzato da profonde trasformazioni sociali, economiche e ambientali spinge - si legge nel rapporto - i giovani a impegnarsi e a cercare un ruolo attivo nella costruzione del proprio futuro".
Per indagare il fenomeno, il Centro Luigi Bobbio ha condotto uno studio sui giovani piemontesi tra i 18 e i 34 anni, esaminando anche la discontinuità rispetto alle generazioni precedenti. Ha utilizzando un questionario strutturato su sei temi: lavoro, tecnologie, percezione del futuro, priorità di sviluppo, religione e spiritualità, fiducia istituzionale e partecipazione.
Dai risultati, si distingue una rinnovata partecipazione politica per i giovani piemontesi, soprattutto in termini non convenzionali, come proteste di piazza, petizioni, boicottaggi, attuando così forme di partecipazione pubblica con percentuali maggiori della media italiana (63% rispetto al dato nazionale di 56,4%). La sfiducia verso le istituzioni tradizionali resta elevata "con una crescente preferenza per forme di impegno più fluide e intermittenti, caratteristiche delle democrazie occidentali contemporanee".
"La nostra tesi – si legge nello studio – è che, seppure in forma embrionale, i dati testimoniano una mobilitazione crescente dei giovani e la nascita di una nuova generazione politica, che deve tornare al centro dell'agenda politica”. Il rapporto rimarca l'urgenza di sviluppare politiche giovanili integrate, che favoriscano l'autonomia, la partecipazione attiva e l'inclusione dei giovani nel processo di trasformazione della regione.
“I giovani – conclude Francesco Ramella, uno dei due curatori dello studio – rappresentano un potente motore di trasformazione che, se adeguatamente sostenuto, potrebbe invertire il declino della regione Piemonte e riportarla su una traiettoria di crescita inclusiva e sostenibile. Quasi un secolo fa, Karl Mannheim, uno dei più grandi studiosi delle nuove generazioni, scriveva che le società dinamiche che aspirano a un nuovo inizio devono fare principalmente affidamento sulla cooperazione dei giovani".