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“Il regionalismo differenziato è morto, viva il regionalismo differenziato”

Riceviamo e pubblichiamo la replica di Giovanni Boggero, ricercatore del Dipartimento di Giurisprudenza, all'articolo "Perché la Corte costituzionale ha bocciato il regionalismo differenziato"
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Article by Giovanni Boggero
5 min

In un contributo apparso su Otto il 6 dicembre scorso il prof. Pallante ha offerto un rapido inquadramento della sentenza della Corte costituzionale sull'autonomia differenziata. La tesi sostenuta dall’autore non è, tuttavia, condivisibile per un duplice ordine di ragioni: la premessa è viziata da un errore prospettico (che l’autonomia differenziata sia stata intesa in termini esclusivamente "politici"), mentre le conclusioni esposte sono oltremodo parziali (il processo di differenziazione non è stato interamente sterilizzato nel senso voluto dai ricorrenti - che chiedevano una declaratoria di illegittimità totale). 

Partiamo dalle premesse. L'autore sostiene che il principale obiettivo della legge Calderoli (l. 86/2024) fosse quello, tutto politico, di consentire una devoluzione indiscriminata di materie alle Regioni sulla base della loro semplice richiesta, una "devoluzione bancomat" che, come tale avrebbe spaccato il Paese, aumentando le disuguaglianze. Al di là della caricatura di un negoziato - che come mostrano anche le interlocuzioni degli scorsi mesi tra Regioni e Governo sulle materie no-LEP - è stato tutto fuorché di circostanza, la legge Calderoli prevedeva la devoluzione di materie, di ambiti di materie o di funzioni (legislative e amministrative). E' rimasta in piedi la versione apparentemente più restrittiva della differenziazione (anche se tra "ambiti di materia" e un certo numero di funzioni la distinzione rischia di diventare di "lana caprina"..), che non solo non è “farina del sacco” della Corte, ma è anche quella sinora percorsa dalle quattro Regioni iniziatrici del procedimento. Al di là dei proclami sensazionalistici di alcuni Presidenti (o delle critiche pretestuose dei loro detrattori), nessuna Regione ha mai davvero "chiesto tutte le materie", mentre la discussione circa la loro devoluzione, anziché avvenire in termini davvero rivoluzionari, quali ad esempio quelli seguiti ai tempi della Bassanini (l.n.59/1997), stava già seguendo un iter perlopiù fondato sui principi prudenti che la Corte ha poi giudicato imprescindibili. A tal proposito, nel corso del negoziato di questi mesi, anche la sussidiarietà, che in un processo di devoluzione è primariamente orientata verso il basso e non verso l'alto, è stata declinata in termini di adeguatezza. E così del resto non poteva che essere, visto che è l'art. 118 Cost., richiamato già all'art. 1 della legge Calderoli, a imporre una necessaria valutazione di contesto prima della devoluzione di funzioni.

Quanto alle conclusioni che l'autore trae, mi paiono viziate da una certa qual parzialità. Innanzitutto, tanta parte della legge Calderoli resta in piedi: le procedure stabilite per il negoziato tra Stato e Regione, la clausola di salvaguardia per le iniziative già esercitate in data anteriore all'entrata in vigore della legge in questione (e a maggior ragione per tutte le iniziative successive), la distinzione tra materie LEP e no-LEP entro le quali può avvenire la differenziazione e così i relativi criteri di finanziamento, la scelta delle compartecipazioni al gettito di un tributo erariale quale fonte di finanziamento. E' proprio per questa ragione, infatti, che il Comitato promotore per il referendum insiste ora per l'abrogazione integrale. Se la tesi di Pallante fosse corretta, dovremmo dedurne che i principi ispiratori della legge n. 86/2024 sono nel frattempo mutati e il referendum, che il collega però ancora attivamente sostiene, è quindi inammissibile. A ciò si aggiunge che almeno due altri interventi della Corte sono in linea con la logica regionalista sottesa al processo di differenziazione: il primo perché conferma il potere (anche) dei Consigli regionali di esercitare l'iniziativa legislativa a valle dell'intesa; il secondo perché, nell'escludere giustamente "salvagenti" per le Regioni che si differenziano, riconosce a contrario il potere delle Regioni, che esercitano le nuove funzioni con maggiore efficienza, di trattenere le risorse eccedenti quelle loro inizialmente attribuite in base a costi e fabbisogni standard. Del resto, la linea argomentativa delle ricorrenti sul fronte del finanziamento è stata severamente smentita. La compartecipazione al gettito di un tributo erariale non contraddice la norma sull’invarianza finanziaria e non determina una minore disponibilità finanziaria per le altre Regioni e per lo Stato, ha ricordato la Corte. 

Che ne è quindi del regionalismo differenziato? La Corte ha contribuito ad adattare la legge-cornice al quadro costituzionale, ma la differenziazione non solo resta possibile, ma è reale, visto che alle richieste formulate da quattro Regioni per funzioni in materie no-LEP è possibile sin d'ora dare seguito. Anche nelle materie nelle quali la Corte ravvisa una astratta difficoltà di devoluzione per via dell'esistenza di vincoli derivanti dal diritto UE (un'affermazione poco persuasiva stante la neutralità di tale ordinamento rispetto al riparto interne delle competenze in ciascuno Stato membro), la devoluzione rimane concretamente possibile, pur all'esito di un'istruttoria più approfondita. 

Salvo che per la definizione dei LEP, per cui occorre una nuova delega da parte del Parlamento, la legge è, insomma, perfettamente applicabile. L'unica vera scure che incombe su di essa è rappresentata dal “dominio della folla” (per usare le parole di Pallante nel pamphlet “Contro la democrazia diretta”) che si esprime attraverso referendum. Un referendum che, però, proprio dopo l’intervento della Corte, per avere successo, non può nemmeno più giovarsi dell’argomento retorico dell’incostituzionalità (e quindi della pericolosità) della legge Calderoli. Ai promotori non resta allora che cercare di coartare la libertà dell’elettore e trasformare la consultazione in un sì o no al regionalismo differenziato in quanto tale. Un tentativo che, tra i tanti aspetti, dovrebbe spingere la Corte costituzionale a dichiarare inammissibile il quesito referendario in quanto non chiaro e non univoco. Esso non può infatti vertere sulla possibilità che si dia o meno autonomia differenziata (prevista direttamente in Costituzione e in quanto tale non abrogabile con referendum), ma solo sulla sua momentanea attuazione così come definita dalla vigente legge Calderoli.