Tutto quello che c'è da sapere sul Conclave
In una storia secolare come quella della Chiesa il Conclave rappresenta un momento centrale e carico di significati. Con Paolo Cozzo, ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese al Dipartimento di Studi Storici di UniTo, di cui è direttore dal 2024, lo analizziamo in una prospettiva storica. Insieme al collega Andrea Nicolotti ha appena pubblicato Storia del Cristianesimo e delle Chiese (Le Monnier Università, Milano 2025).
Professor Cozzo, quando e perché fu introdotto il Conclave per l’elezione del papa?
Il conclave è l’assemblea del collegio cardinalizio chiamata a eleggere il vescovo di Roma, ossia il vertice supremo della Chiesa cattolica. Il termine deriva dall’espressione latina cum clavis, originariamente riferita alla camera chiusa a chiave dove i cardinali, tenuti in una condizione di momentaneo isolamento, erano chiamati a individuare il nuovo pontefice della Chiesa universale. La prassi di rinchiudere i porporati in un luogo appartato e privo di contatti con l’ambiente circostante viene fatta risalire alla seconda metà del XIII secolo. Il perdurare dell’attesa per l’elezione del nuovo papa dopo quasi tre anni di Sede vacante, nel 1271 indusse gli abitanti di Viterbo (città dove si erano allora riuniti i venti cardinali che componevano il collegio cardinalizio) a forzare la mano nei confronti dell’indecisione dei porporati. Essi vennero perciò rinchiusi nel palazzo apostolico e convinti, anche dal peggioramento delle condizioni di vitto e di alloggio, a raggiungere un accordo per ridare finalmente un vescovo a Roma. Eletto papa, Gregorio X pochi anni dopo canonizzò la peculiare procedura che era stata adottata per la sua elezione, che da quel momento divenne pertanto una prassi tesa non tanto ad accelerare le tempistiche per la scelta del nuovo pontefice, ma soprattutto a mettere al riparto i cardinali da interferenze e pressioni esterne.
Come sono cambiate le dinamiche interne al Conclave?
Non è possibile comprendere il significato e l’evoluzione del conclave prescindendo dal contesto storico in cui si svolge. La decisione di affidare esclusivamente ai cardinali il compito di eleggere il pontefice, avvenuta nell’XI secolo, era stata frutto di una scelta che la Chiesa aveva compiuto per affermare i suoi diritti e le sue prerogative nei confronti dei poteri esterni. Essi, nei secoli precedenti (nell’alto medioevo le potenti fazioni della nobiltà romana, poi gli imperatori germanici) erano infatti riusciti a selezionare ed imporre i pontefici. Nell’XI secolo, in una stagione di grandi e profonde trasformazioni negli equilibri fra il potere temporale e quello spirituale, la Chiesa elaborò una concezione di supremazia che teorizzava il primato del papa su ogni altra autorità, compresa quella imperiale. Da qui l’esigenza di preservare l’elezione del pontefice da ogni interferenza esterna rendendolo un fenomeno totalmente interno alla Chiesa. In età moderna la Chiesa assunse anche una dimensione statuale e il pontefice divenne anche sovrano di un principato elettivo collocato al centro del mosaico geopolitico italiano. Ciò ebbe notevoli conseguenze sul papato: dal 1523 al 1978 tutti i papi sono stati italiani, così come italiani sono stati, in grande maggioranza, i cardinali. L'egemonia italiana nel corso del Novecento si è progressivamente ridimensionata, fino a venire meno negli ultimi decenni. Oggi infatti il collegio è composto da cardinali provenienti da decine di paesi diversi, collocati in tutti i continenti. Si tratta, soprattutto, dell'esito delle creazioni cardinalizie effettuate nel pontificato di Francesco (il primo papa extraeuropeo), che ha voluto in questo modo rappresentare l'universalità della Chiesa anche nell'organo deputato a eleggere il suo successore.
Ora siamo in una fase di estrema mediatizzazione dell’evento, precedentemente quale era il rapporto tra Conclave e società esterna?
La Chiesa ha sempre percepito le potenzialità dei mezzi di comunicazione, e dunque non può stupire che un evento così importante come il conclave sia comunicato ai fedeli (e non solo) con una straordinaria copertura mediatica. L’interesse per l’elezione di un nuovo papa è infatti un fenomeno globale, vissuto oggi in tempo reale e contemporaneamente da più di un miliardo di cattolici diffusi in tutto il mondo. In passato la percezione e la fruizione di questo evento era circoscritta a Roma. Del resto, per secoli l’esperienza di vedere un papa è stata possibile solo stando o venendo a Roma: ciò ha contribuito – fra l’altro – ad alimentare la fortuna dei giubilei.
Quali i nomi più ricorrenti tra i papa e perché?
Giovanni (XXIII), Benedetto (XVI), Gregorio (XVI), Clemente (XIV), Innocenzo (XIV), Leone (XIII), Pio (XII)… La scelta del nome è il primo atto del nuovo pontefice, ed è anche quello che sintetizza il suo orizzonte spirituale ed ecclesiale: per molti versi è un manifesto progettuale di governo della Chiesa. Scegliendo un nome il nuovo pontefice richiama un’eredità e propone di riattualizzarla. Ciò normalmente è avvenuto guardando ai predecessori, di cui si è voluto evidenziare la continuità tramite il nome. Anche in questo senso il papato di Bergoglio, che nel 2013 adottò un nome fino a quel momento mai utilizzato da un pontefice, ha segnato una forte novità. Decidendo di chiamarsi Francesco, Bergoglio aveva voluto evidenziare che l’eredità alla quale si era ispirato non si trovava tanto o solo fra i successori di Pietro, ma in tutti quanti – come il santo di Assisi – nel corso dei secoli avevano scelto di cercare Cristo fra gli ultimi al mondo.
Quali sono i papati maggiormente di svolta nella storia della Chiesa? E quello di Francesco com’è stato?
Utilizzare il termine svolta nelle vicende della Chiesa è impresa ardua, dal momento che si tratta di una istituzione che per natura e sviluppo storico ha sempre preferito metabolizzare i cambiamenti anzichè esplicitare le trasformazioni. Limitandoci all’età contemporanea, direi che due pontificati particolarmente significativi, nella loro specularità, sono stati quelli di Pio IX (1846-1878) e di Giovanni XXIII (1958-1963). Pio IX, il papa del Concilio Vaticano I, visse drammaticamente le trasformazioni della sua epoca (che portarono, fra l’altro, alla perdita del potere temporale nel 1870) elaborando una concezione fortemente negativa della modernità, che ha segnato la Chiesa per oltre un secolo. Giovanni XXIII, il papa del Concilio Vaticano II, le trasformazioni le vide e le visse invece come un’opportunità per una Chiesa chiamata a riconciliarsi con il mondo moderno e a comprendere lo spirito dei tempi. Il papato di Francesco si è collocato in questo solco. Tuttavia, per una valutazione più ponderata del pontificato che si è appena concluso, c’è bisogno di tempo e, soprattutto, di studio.
In che fase della storia della Chiesa siamo?
Credo sia molto difficile stabilirlo. Forse una prima risposta arriverà nelle prossime ore dalla Cappella Sistina.